giovedì 19 giugno 2014

V RAPPORTO SUI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

Più di 9 mila minori stranieri non accompagnati, aumentati del 98,4% in due anni. Sempre più maschi, prossimi alla maggiore età, e provenienti soprattutto dai Paesi dell'Africa, dal Bangladesh e dall'Afghanistan. E' questa, in estrema sintesi, la fotografia sviluppata dal V Rapporto Anci-Cittalia sui minori stranieri non accompagnati in Italia presentato il 5 giugno a Roma presso la sede dell'Anci.
Il Rapporto rappresenta nei fatti quasi un censimento, dato che i Comuni che hanno partecipato attivamente all'indagine rappresentano circa il 70% del totale della popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2012. Tra i dati sottolineati nel Rapporto, inoltre, il netto incremento dei Comuni di medie e piccole dimensioni impegnati nell'accoglienza, che si affiancano all'ovvia preponderanza delle città metropolitane all'interno di un contesto in cui, sottolinea lo stesso Rapporto, "i minori non accompagnati rappresentano sempre più una compenente del più vasto fenomeno migratorio ma, più specificamente, della migrazione di categorie particolarmente vulnerabili".
I dati, inoltre, sostengono le istanze dei Comuni, ribadite dal delegato all'Immigrazione dell'Anci Giorgio Pighi: ''L'istituzione del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati – dice - rappresenta un passo in avanti verso un'assunzione di responsabilità da parte dello Stato centrale: un percorso che va potenziato sempre più, nell'ottica della creazione di un Sistema nazionale che, sul sistema dello Sprar, operi per l'ottimizzazione delle risorse e innalzi il livello di protezione. Risulta più che mai necessario – sostiene ancora Pighi - un ripensamento delle politiche di accoglienza che, nel rispetto delle diverse responsabilità istituzionali, scongiuri il rischio di scaricare sugli enti locali la gestione di emergenze facilmente prevedibili''.

http://www.cittalia.it/index.php/item/5424-cittalia-e-anci-presentano-il-v-rapporto-sui-minori-stranieri-non-accompagnati

da Unimondo "Rifugiati: non sono altro da noi"

Nessuno di voi, probabilmente, sa che cosa significhi essere un rifugiato. Meglio così. Chi vorrebbe sapere cosa significa dover lasciare casa propria una notte, senza prendere nulla, per aver parlato con la persona sbagliata? E non tornare più indietro. Non avere un numero di telefono su cui chiamare tuo figlio. Chi vorrebbe sapere quanto può far male una goccia d’acqua, che cade continuamente sulla tua schiena, per ore, giorni, mentre tu vieni tenuto sveglio con musiche assordanti, ripetute per uccidere il tuo desiderio di cambiare? O ancora cosa significa perdere tuo padre per una bomba lanciata a caso, lasciare tua sorella agonizzante nel mezzo di un deserto, perdere la salute in una prigione lontana da tutti, maledire l’acqua dopo un viaggio alla deriva nel mare? E il tutto in una sola vita, in pochi anni sparsi nel mezzo della giovinezza, di quando noi celebriamo le estati, passiamo i pomeriggi a studiare, a sognare di diventare grandi, di viaggiare.
Nessuno di noi vuole saperlo veramente, perché saperlo significa provare a sentirlo. Preferiamo difenderci dietro lo schermo della compassione, dietro alla paura o, perché no, dietro all’ammirazione. Emozioni e sentimenti che allontanano. Che, soprattutto, non cambiano le cose. O meglio che possono farlo solo mettendo in moto altro: creatività, determinazione, responsabilità. Per questo oggi dobbiamo parlare in modo diverso di rifugiati, di migrazioni in generale.
Lo faremo in tre modi.
In primo luogo raccontando la creatività. Per ribadire che “noi stiamo con la sposa”,come avevamo già scritto su Unimondo lo scorso 24 maggio. Per chi se l’è perso, “Io sto con la sposa” è il progetto di tre registi e attivisti che hanno deciso di attraversare le frontiere europee, dall’Italia alla Svezia, organizzando un rocambolesco corteo nuziale, composto da siriani, palestinesi e italiani. L’obiettivo è mettere a nudo la violenza della frontiera. Il metodo è il gioco: giocare con le assurde limitazioni europee che impediscono a un rifugiato di scegliere in che paese vivere, secondo il così detto Regolamento di Dublino, per segnalare l’ennesima violenza che deve subire chi, come uno dei protagonisti, ha appena visto morire amici e parenti in acque europee.Un argomento terribilmente drammatico ma un trattamento pieno di ironia, che riporta alla memoria la fine della dittatura cilena, raccontata recentemente nel film “No – I giorni dell’arcobaleno”: nel referendum del 1988, la democrazia ha vinto grazie a una campagna televisiva improntata al buon umore piuttosto che alla denuncia dei crimini di Pinochet. “Io sto con la sposa” diventerà presto un film documentario, finanziato dal basso con un passaparola mediatico che ha colto nel segno. La comunicazione, però, rispecchia i tempi, raramente riesce a anticiparli: la campagna cilena ha funzionato perché la gente era stanca dell’immobilismo del regime. Siamo stanchi di costruire muri che dividono non solo europei da non europei, ma anche poveri da ricchi, vittime da carnefici? E ancora di più, di innalzare frontiere che dividono le nostre coscienze, aprono crepe nel nostro vivere democratico?
La seconda arma è quella della determinazione. Molti cambiamenti sociali sono partiti da un gruppo di persone determinate, che ne hanno coinvolte molte altre. Nasce dalla determinazione il progetto della Carta di Lampedusa, a cui Unimondo ha aderito dal dicembre 2013Una determinazione nutrita di rabbia e tristezza ma che ha radici lontane, rimesse in moto il 4 ottobre 2013. 369 persone erano appena morte a pochi metri dalle coste di Lampedusa, quasi tutti eritrei in cerca di una vita degna, e le istituzioni italiane avevano risposto con lacrime e tentativi di deviare lo sguardo, verso un’Unione Europea inevitabilmente lontana e indifferente, verso scafisti senza scrupoli.
La morte insensata di queste persone è stata però la molla che ha riacceso la determinazione di chi si batte da anni per la libertà di movimento: organizzazioni e singoli cittadini, che hanno scritto la Carta di Lampedusa ai primi di febbraio. Più che un documento, la Carta ha cercato di essere un orizzonte comune per migliaia di persone che vogliono neutralizzare le frontiere come elemento di violenza, cambiare le politiche europee per far sì che non si muoia ai confini, che il diritto d’asilo sia veramente garantito, che smettiamo di chiedere a regimi autoritari di fare il lavoro sporco, cioè di arrestare i flussi di persone, per conto dell’Europa. Una rete di persone che crede nei sogni e fa qualcosa per realizzarli: venerdì 13 giugno è stata la volta di “Make space, not borders”, un’iniziativa di protesta sotto le ambasciate europee in diverse città dell’Unione. Sabato 21 potrete invece salire sul No Borders Train, un viaggio in treno da tutta Italia verso Milano e da Milano verso i confini europei, per superarli in nome delle migliaia di rifugiati che non possono farlo o che per farlo devono affidarsi ai trafficanti.   
La terza parola, forse la più importante, è responsabilità. Un atteggiamento trasversale, che deve coinvolgere cittadini e istituzioni. Centro Astalli, l’organizzazione di supporto ai rifugiati legata al Jesuit Refugee Service, per la Giornata Mondiale del Rifugiato ha coniato lo slogan “Chi chiede asilo lo chiede a te”. Un invito a sentirsi responsabili, perché quella dei rifugiati è una questione di dignità per ogni cittadino italiano. Creare dei canali umanitari non significa solo costringere i nostri governi a cambiare politica estera, a istituire forme di ingresso regolare in Europa, a rendere effettivo il re-insediamento dei rifugiati da paesi in cui sono a rischio. Significa anche incontrare i rifugiati nelle nostre città e costruire insieme a loro risposte dignitose e proposte di cambiamento. Oltre 50 mila persone sono arrivate via mare in Italia dall’inizio del 2014. Ma altre, non sappiamo quante, sono arrivate via terra da Croazia, Slovenia, Austria. Il governo ha preparato per le prime un nuovo piano emergenziale, se possibile peggiore di quello approntato tre anni fa per i “profughi” della guerra in Libia e rivelatosi per qualcuno un grande business. Le seconde invece non hanno spesso nessuna risposta abitativa, pur ottenendo un titolo di soggiorno che garantisce una protezione.
A fronte di 20 mila posti disponibili nel sistema SPRAR e di diverse migliaia in centri di accoglienza nell’Italia meridionale, migliaia di rifugiati vivono ancora ai margini delle nostre città. Pensate: essere scappati dall’esercito perché non si vuole uccidere, essere stati catturati e detenuti subendo violenze che non si possono dire, essere stati picchiati dalla polizia alle frontiere di Turchia, Egitto, Libia, Grecia e Italia. E trovarsi infine a vivere in una casa pericolante, senza nulla, in uno stato per cui il diritto d’asilo è un principio fondamentale, stampato nella Costituzione. In un continente che dice di voler creare una “area di libertà, sicurezza e giustizia”. Probabilmente vi sentireste presi in giro, delusi, arrabbiati o disperati. Attraversare la frontiera, con tutto il carico di sofferenza che ha portato, è servito a poco, quando continuate a sperimentarla ogni giorno sulla vostra pelle.
Vittima dell’assenza di responsabilità, chi cerca rifugio è spesso costretto a diventare creativo, a essere ostinatamente determinato. Attraversare frontiere, salvarsi la vita, pensare alle proprie famiglie, tutto richiede una presenza assoluta. Per festeggiare la Giornata Mondiale del Rifugiato, vi invitiamo quindi a usare le stesse qualità per costruire un futuro migliore, una casa degna per tutti. Unimondo nasce proprio da qui: dal sogno di un mondo senza barriere. Nel 1994, agli albori del world wide web, Anuradha Vittachi, una rifugiata sri lankese figlia di giornalisti perseguitati nel proprio paese, dà il via all’avventura del portale ONEWORLD con la pubblicazione online di un dossier sui rifugiati. “Date la parola ai rifugiati – ci ha detto l’anno scorso per i 15 anni di Unimondo – dategli la possibilità di essere protagonisti della nostra società”. Per questo domani vogliamo festeggiare con voi questa giornata. Ma non fermatevi qui, agite subito.