sabato 15 novembre 2014

NON LASCIAMOLI SOLI

Lettera degli utenti rifugiati del centro SPRAR di Tor Sapienza:

"Tutti parlano di noi in questi giorni, siamo sotto i
riflettori: televisioni, telegiornali, stampa. Ma nessuno
veramente ci conosce.  Noi siamo un gruppo di rifugiati,3 5
persone provenienti da diversi Paesi: Pakistan, Mali,
Etiopia, Eritrea, Afghanistan, Mauritania, ecc...Non siamo
tutti uguali, ognuno ha la sua storia; ci sono padri di
famiglia, giovani ragazzi, laureati, artigiani, insegnanti,
ecc..ma tutti noi siamo arrivati in Italia per salvare le
nostre vite. Abbiamo conosciuto la guerra, la prigione, il
conflitto in Libia, i talebani in Afghanistan e in Pakistan.
Abbiamo viaggiato, tanto, con ogni mezzo di fortuna, a volte
con le nostre stesse gambe; abbiamo lasciato le nostre
famiglie, i nostri figli, le nostre mogli, i nostri genitori
, i nostri amici, il lavoro, la casa, tutto. Non siamo
venuti per fare male a nessuno. In questi giorni abbiamo
sentito dire molte cose su di noi: che rubiamo, che
stupriamo le donne, che siamo incivili, che alimentiamo il
degrado del quartiere dove viviamo. Queste parole ci fanno
male, non siamo venuti in Italia per creare problemi, né
tantomeno per scontrarci con gli italiani. A questi ultimi
siamo veramente grati, tutti noi ricordiamo e mai ci
scorderemo quando siamo stati soccorsi in mare dalle
autorità italiane, quando abbiamo rischiato la nostra
stessa vita in cerca di un posto sicuro e libero. Siamo qui per
costruire una nuova vita, insieme agli italiani, immaginare
con loro quali sono le possibilità per affrontare i
problemi della città uniti insieme e non divisi.  È da tre giorni
che viviamo nel panico, bersagliati e sotto attacco: abbiamo
ricevuto insulti, minacce, bombe carta. Siamo tornati da
scuola e ci siamo sentiti dire “negri di merda”; non
capiamo onestamente cosa abbiamo fatto per meritarci tutto ciò.
Anche noi viviamo i problemi del quartiere, esattamente come
gli italiani; ma ora non possiamo dormire, non viviamo più
in pace, abbiamo paura per la nostra vita. Non possiamo
tornare nei nostri Paesi, dove rischiamo la vita, e così
non siamo messi in grado nemmeno di pensare al nostro futuro.
Vogliamo dire no alla strada senza uscita a cui porta il
razzismo, vogliamo parlare con la gente, confrontarci.
Sappiamo bene, perché lo abbiamo vissuto sulla nostra
stessa pelle nei nostri Paesi, che la violenza genera solo altra
violenza. Vogliamo anche sapere chi è che ha la
responsabilità di difenderci? Il Comune di Roma, le
autorità italiane, cosa stanno facendo? Speriamo che la polizia
arresti e identifichi chi ci tira le bombe. Se qualcuno di
noi dovesse morire, chi sarebbe il responsabile? Non
vogliamo continuare con la divisione tra italiani e
stranieri. Pensiamo che gli atti violenti di questi giorni
siano un attacco non a noi, ma alla comunità intera. Se il
centro dove viviamo dovesse chiudere, non sarebbe un danno
solo per noi, ma per l’intero senso di civiltà
dell’Italia, per i diritti di tutti di poter vivere in sicurezza ed in
libertà. Il quartiere è di tutti e vogliamo vivere
realmente in pace con gli abitanti. Per questo motivo non vorremmo
andarcene e restare tutti uniti perché da quando viviamo
qui ci sentiamo come una grande famiglia che nessuno di noi
vuole più perdere, dopo aver perso già tutto quello che
avevamo."


Lettera di Alessia, che
lavora allo SPRAR di Tor Sapienza:

Chiedo a tutti di far girare, immagino sappiate la
situazione del centro Morandi di Tor Sapienza dove lavoro
come coordinatrice sprar, anche se dai media sembra che si
senta solo una voce. La nostra preoccupazione come staff è
per gli utenti, ricordiamoci che parliamo di richiedenti
asilo e rifugiati politici e di minori in tutela. Purtroppo
sia giornali che telegiornali hanno fatto uscire volti non
oscurati e questo li mette ancora più in pericolo.
Questo è il modo per far sentire la loro voce. Vi posso dire
che siamo esausti tutti, questa mattina i minori sono tornati
autonomamente da dove erano stati spostati con la richiesta
di tornare qui. Purtroppo non possono entrare, ora sono al
comune per far ascoltare le loro richieste. Noi siamo
transennati, sta arrivando Borghezio con casapound. Dalla
mia parte io vorrei solo fare il mio lavoro e credetemi in
questo momento è difficile. La tensione è
altissima, siamo minacciati, non possiamo uscire, E' pericoloso entrare,
salti mortali per far arrivare i pasti, appuntamenti
ospedalieri rinviati. Che sia chiaro che gli utenti stanno
facendo da capro espiatorio per una guerra che non è la
loro, dalla loro sono già scappati. Scusate, ma non ce
la faccio veramente più.
Alessia Armini

giovedì 13 novembre 2014

Respingimenti: Italia condannata per la seconda volta. L’appello delle associazioni.

http://www.cronachediordinariorazzismo.org/respingimenti-italia-condannata-per-seconda-volta-lappello-delle-associazioni/

Respingimenti: Italia condannata per la seconda volta. L’appello delle associazioni.

POLICE-LOOK-OUT-TO-SEA-AT-006La Corte Europea per i diritti dell’uomo (Cedu) ha nuovamente condannato l’Italia per aver messo in atto respingimenti collettivi. Già il 23 febbraio 2010, con la cosiddetta “sentenza Hirsi”, la Corte di Strasburgo condannava l’Italia per aver respinto in Libia circa duecento persone, violando l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani -trattamenti degradanti e tortura-, l’articolo 4 del Protocollo 4 -interdizione di espulsioni collettive- e l’articolo 13 -impossibilità di ricorso- (vedi qui per approfondimenti).
A distanza di due anni arriva una nuova, identica condanna. La sentenza, datata 21 ottobre 2014, riguarda quello che è conosciuto come il “caso Sharifi e altri contro Italia e Grecia” (Per una ricostruzione dettagliata si rimanda all’articolo di Alessandra Sciurba pubblicato su Melting Pot). Le violazioni per cui l’Italia è stata condannata si riferiscono, ancora una volta, agli art. 3, 13 e 4 Protocollo 4.
Nonostante le varie pronunce della Corte, però, i respingimenti proseguono. “E’ infatti notizia del 29 ottobre 2014 che al porto di Ancona le forze dell’ordine abbiano respinto in Grecia 16 persone di cittadinanza iraniana, siriana e irachena imbarcatisi su un traghetto della Minoan, nascosti tra le ruote dei Tir o in mezzo al carico. Solo cinque scoperti nella stessa occasione sono stati ammessi alla procedura di asilo”, denunciano le associazioni Terre des Hommes International Federation, Medici Senza Frontiere Italia e Asgi, che insieme alla campagna LasciateCIEntrare lanciano un appello alle istituzioni italiane ed europee. E’ infatti frequente l’applicazione di quelle che le associazioni chiamano “modalità semplificate” per le procedure di respingimento, attuate sulla base di accordi bilaterali tra stati: prassi “di respingimento collettivo che privano i migranti dei più elementari diritti di difesa e di informazione, in quanto, al di là della stessa possibilità di formalizzare una richiesta di asilo”, alle persone viene tolta “la possibilità di fare valere qualsiasi altra causa ostativa rispetto al respingimento immediato”, effettuato verso paesi terzi non sicuri come la Libia, l’Egitto, la Turchia, la Grecia. Una situazione a cui le associazioni chiedono di porre fine, “in ottemperanza a quanto sancito dalla Cedu, nonché dalla convenzioni internazionali e direttive europee in tema di Protezione internazionale e diritto all’Asilo”.
Segnaliamo l’appello, invitando alla diffusione.
Roma, 7 Novembre 2014
Al Gentile Presidente del Consiglio, Matteo Renzi
Al Gentile Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni
Al Gentile Ministro dell’Interno, Angelino Alfano
Al Gentile Alto Commissario PESC della UE, Federica Mogherini
APPELLO, FERMINO I RESPINGIMENTI
Come certamente saprete la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha nuovamente condannato il Governo Italiano per i respingimenti collettivi (decisione Sharifi contro Italia e Grecia del 21.10.2014) per la violazione dell’art. 13 Cedu (diritto a un ricorso effettivo) combinato con l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) “perché le autorità italiane hanno esposto i ricorrenti, rimandandoli in Grecia, ai rischi conseguenti alle falle della procedura di asilo in quel paese” e per violazione dell’art. 4, Protocollo 4 (divieto di espulsioni collettive).
La Cedu, si legge nel comunicato stampa immediatamente successivo alla sentenza, “condivide la preoccupazione di diversi osservatori rispetto ai respingimenti automatici attuati dalle autorità frontaliere italiane nei porti dell’Adriatico, di persone che sono il più delle volte consegnate immediatamente ai comandanti dei traghetti per essere ricondotte in Grecia, essendo in tal modo private di ogni diritto procedurale e materiale”.
Le nostre organizzazioni condividono le considerazioni e le preoccupazioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo. “E’ infatti notizia del 29 ottobre 2014 che al porto di Ancona le forze dell’ordine abbiano respinto in Grecia 16 persone di cittadinanza iraniana, siriana e irachena imbarcatisi su un traghetto della Minoan, nascosti tra le ruote dei Tir o in mezzo al carico. Solo cinque scoperti nella stessa occasione sono stati ammessi alla procedura di asilo”.
Notizie di questi giorni, lanciata da RTM, parlano di un respingimento di circa 50 egiziani giunti a Pozzallo in un’imbarcazione con a bordo 329 persone partite dall’Egitto nove giorni prima.
Questi respingimenti non si collocano certo nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino perché nessuno dei respinti ha potuto o voluto formalizzare una richiesta di asilo. Si è data applicazione ancora una volta da una parte all’Accordo tra Italia e Grecia del 1999 che prevede modalità “semplificate” per le procedure di respingimento verso la Grecia senza nessuna delle garanzie che comunque il regolamento frontiere prevede in favore di qualunque migrante faccia ingresso nel territorio di uno stato appartenente all’area Schengen e dall’altra gli accordi bilaterali di riammissione tra Italia ed Egitto.  Paese che non può comunque essere definito un “paese terzo sicuro”, come risulta dai rapporti internazionali delle principali agenzie umanitarie che il nostro governo e la comunità internazionale non può ignorare.
Queste procedure semplificate di respingimento collettivo, privano i migranti dei più elementari diritti di difesa e di informazione, in quanto, al di là della stessa possibilità di formalizzare una richiesta di asilo, priva le persone della possibilità di fare valere qualsiasi altra causa ostativa rispetto al respingimento immediato e si pone in totale contrapposizione con le disposizioni europee e con la giurisprudenza della Cedu.
Per tali ragioni le nostre organizzazioni, consapevoli che le suddette pratiche collettive e sommarie di respingimento verso Paesi certamente non sicuri, quali, oltre la Grecia, per effetto di possibili respingimenti a catena, la Libia, l’Egitto e la Turchia, lungi dall’essere state inibite rischiano di moltiplicarsi anche quale conseguenza del termine dell’operazione Mare Nostrum, che potrebbe comportare un maggiore afflusso di potenziali richiedenti asilo o comunque di migranti irregolari, alle frontiere portuali ed aeroportuali, chiedono al  Governo Italiano l’impegno di far cessare immediatamente qualsiasi procedura di respingimento di migranti, in ottemperanza a quanto sancito dalla Cedu, nonchè dalla convenzioni  internazionali e direttive europee in tema di Protezione internazionale e diritto all’Asilo.
Vi chiediamo altresì di imporre il rispetto del suddetto divieto di espulsione o respingimento collettivi anche in applicazione del Regolamento frontiere Schengen 562 del 2006, il quale, invece, deve essere interpretato e applicato in conformità alla CEDU, con l’esame individuale di ogni persona, anche agli altri Stati membri e ciò in forza del ruolo dell’Italia in questo semestre di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea.
Raffaele K. Salinari, Presidente Terre des Hommes International Federation
Loris De Filippi, Presidente Medici Senza Frontiere Italia
Lorenzo Trucco, Presidente Asgi – Associazione Studi Giuridici Immigrazione
Gabriella Guido, Portavoce Campagna LasciateCIEntrare

mercoledì 5 novembre 2014

I 64 anni della Convenzione europea dei diritti umani

da unimondo


Una breve ricerca web su “Corte europea” AND “Italia” ci restituisce solo per gli ultimi 2 mesi una tale mole di risultati che di tutto si potrebbe accusare il Tribunale fuorché di essere inoperoso. Alcuni esempi?
Mediaset, Corte Europea esaminerà uno dei ricorsi di Berlusconi”.
La prima coppia sposata all’estero: ‘La Corte Europea ci darà ragione’”.
Espulsione profughi, Strasburgo condanna Roma”.
Rifiuti, la Corte europea condanna l’Italia persette discariche del Lazio”.
“Tasse sì, tasse no, Corte europea condanna l’Italia sul gioco d’azzardo”.
Condanne, ricorsi, richiami ufficiali e sanzioni: questi sono solo alcuni dei mezzi a disposizione della Corte Europea dei Diritti Umani per far sentire la propria voce. Una voce espressa da Strasburgo, ragione del conio del riferimento alla Corte quale Tribunale di Strasburgo. Eppure non fu lì che tutto ebbe inizio.
Questa storia nasce a Roma, il 4 novembre 1950, esattamente 64 anni fa. È un sabato e Palazzo Barberini ospita un consesso di indubbia rilevanza politica. I capi di Stato e di governo dei 10 membri fondatori del Consiglio d’Europa, costituito a Londra poco più di un anno prima, il 5 maggio 1949, si riuniscono in quella splendida cornice per la firma della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Un nome solenne quanto le disposizioni che essa racchiude, e che intendevano trasporre i principi proclamati dallaDichiarazione universale dei diritti umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) del 10 dicembre 1948 in norme giuridiche vincolanti per gli Stati. L’importanza del sistema delineato dal Consiglio d’Europa non stava dunque tanto nella perfezione del catalogo dei diritti protetti, quanto piuttosto nell’originalità e nell’incisività delle procedure di controllo. È proprio da questa “mission” che scaturì la volontà di creare un Tribunale che giudicasse le violazioni dei diritti umani commessi dagli Stati europei contraenti; l’istituzione avrebbe visto finalmente la luce alcuni anni dopo, nel 1959.
La storia della creazione del Consiglio di Europa è connessa strettamente a quella Convenzione sui diritti umani elaborata appena un anno dopo la sua nascita. Il tentativo di ricostruire il continente europeo dopo la devastazione della seconda guerra mondiale non doveva essere solo materiale ma intendeva soprattutto testimoniare e valorizzare lacomune concezione ideale insita nella “democrazia”, nei “diritti umani” e nella “dignità dell’essere umano”. Se la culla di tali principi era stata proprio l’Europa, da essa doveva giungere la ferma volontà di metterli in pratica e di farne il fondamento dell’idea europeista. Logico quindi che la prima grande realizzazione del Consiglio concernesse i diritti umani.
Il 10 agosto scorso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha celebrato i 65 anni dalla sua prima sessione: un bel traguardo per un’istituzione che oggi vanta ben47 membri, di cui 28 Stati appartenenti all’Unione Europea, e diversi Paesi osservatori. Tutti e 47 gli Stati membri hanno ratificato la Convenzione europea dei diritti umani e accettato la giurisdizione della Corte, consentendo alla stessa di emettere in questi anni più di 10mila sentenze giuridicamente vincolanti. Le più note aventi come oggetto l’Italia sono connesse, come risaputo, alla situazione carceraria del Belpaese in violazione dell’art. 3 della CEDU che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. A questo proposito è recente la notizia che il Tribunale di Strasburgo ha iniziato a respingere i ricorsi (19 in tutto) di detenuti nelle carceri italiane facendo riferimento al recente decreto 92/2014 adottato dal parlamento che dovrebbero migliorare la condizione di sovraffollamento carcerario.
Già è stata invece definita storica la sentenza sul caso Sharifi et alii contro Italia e Grecia con cui la Corte Europea dei Diritti Umani condanna la consueta prassi di “respingere” ogni giorno cittadini di Paesi terzi che arrivano in Italia nei porti dell’Adriatico nascosti su traghetti provenienti dai porti greci. Il carattere indiscriminato dei respingimenti, il mancato accesso alle procedure per la richiesta di asilo e tantomeno della possibilità di ricorso contro la misura di allontanamento sono al centro della decisione della Corte, in linea con la precedente sentenza Hirsi Jamaa et alii v. Italia, riguardo i respingimenti del 2009 verso la Libia. In entrambi i casi il pericolo concreto di tortura e maltrattamenti in cui sono molto probabilmente incorse le persone respinte tanto verso l’Afghanistan quanto verso la Libia avrebbe dovuto indurre Italia e Grecia ad attuare tutte le misure di identificazione dei richiedenti lo status di rifugiato.
Che si tratti di libertà di culto (si veda la sentenza che ha avuto ampia risonanza sull’affissione del crocifisso nei luoghi pubblici, come scuola o tribunali), di diritto a un giusto processo (il ricorso di Silvio Berlusconi sulla sentenza Mediaset non è che uno dei più clamorosi sinora effettuati) connesso peraltro spesso alla lentezza del processo che si tramuta in assenza di giustizia, di libertà di espressione, di diritto a sposarsi, di protezione di proprietà, una cosa è certa. L’Italia, come molti altri Paesi europei, non è esente dal commettere violazioni, anche gravi, delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti umani. Un documento al quale è legata la storia recente del continente stesso e che, non solo a parole, va osservato nel rispetto e nella salvaguardia di quei diritti e libertà fondamentali in cui l’Europa unita affonda le sue radici.